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Giannutri: il relitto del Nasim II

di Patrizia Cubadda

Il Nasim II, costruito alla fine degli anni '50 in Inghilterra, era una nave mercantile di oltre 70 metri di lunghezza, battente bandiera panamense. Alle 11:30 dell'11 febbraio 1976 mollò gli ormeggi dal porto di Livorno, diretto ad Alessandria d'Egitto con un carico di 49 automobili (12 Fiat, 35 Peugeot e 2 Mercedes), 16 rimorchi e 3 carrelli elevatori destinati al mercato nordafricano.

Ma giunta all'altezza dell'isola di Giannutri nell'Arcipelago Toscano, alle 4:30 del 12 febbraio la nave, spinta da un forte vento di libeccio, e in mezzo a una fitta pioggia che rendeva quasi nulla la visibilità, cozzò contro gli scogli di Punta Pennello, al largo del porticciolo di Cala Maestra. Il Nasim colò a picco in pochi istanti, e si adagiò poi con la murata di sinistra sul fondo a circa 60 metri di profondità, dopo aver disperso nella sua discesa le 23 automobili che si trovavano sul ponte.
Fortunatamente tutti i 17 membri dell'equipaggio si salvarono e non ci furono vittime.

L'immersione

Dopo mesi di tentativi, il 4 settembre 2005 finalmente siamo riusciti a visitare questo relitto. E ne è valsa la pena. Tutto è stato favorevole: il tempo, il mare, la visibilità... bellissimo.
Non è facile fare questa immersione. A cominciare dal diving che non ti porta volentieri al Nasim II a meno che non ci sia un gruppo che riempie tutta la barca. Ma il fatto che si tratti di un’immersione piuttosto impegnativa complica ancora di più le cose. Quando ho capito che finalmente Michele, Marco ed io, Patrizia, avremmo fatto l’immersione al Nasim II quasi mi sono sentita mancare. Abbiamo trovato nella barca insieme a noi tutti sub piuttosto esperti, che facevano uso dei bibo e del rebreather. C’era anche Roberto Rinaldi, noto fotografo e operatore subacqueo, che ha effettuato delle riprese, e grazie al quale ci siamo potuti riconoscere in televisione nel programma Linea Blu due settimane dopo.

Il relitto è spettacolare, e quando dopo una ventina di metri di discesa appare sotto di noi la sensazione è unica: sembra di sorvolare il tetto di un palazzo, mentre sul fondo si scorgono già le automobili scaraventate fuori bordo durante il naufragio. Lo scafo è lungo circa settanta metri e poggia su un fondale composto in gran parte da sabbia chiara, con le sue enormi eliche completamente libere nel vuoto. Da lì proseguiamo lungo il ponte, esplorando le strutture incrostate e affacciandoci ad alcune delle poche aperture da dove scorgiamo l'interno della nave, senza addentrarci vista la pericolosità di entrare in locali ingombri di fili elettrici penzolanti e numerosi altri oggetti in cui è facile impigliarsi. Vorrei soffermarmi ancora, ma il tempo scorre implacabile e non dimentico la profondità a cui ci troviamo: un rapido sguardo d'intesa ai miei compagni, ed iniziamo la risalita.
Quindici minuti a 50 metri sono stati insufficienti per visitarlo tutto, ma sono stati abbastanza per capire che torneremo a trovarlo.

Il "parcheggio"

Un'alternativa all'immersione del relitto della nave, che oltre a consentirci di raggiungere quote minori, è molto meno difficoltosa anche da un punto di vista tecnico e organizzativo, è quella sulle macchine che si sono sparpagliate sul fondo durante l'affondamento. Pur essendo meno impegnativa, non è comunque da sottovalutare, e potrà assere affrontata da subacquei con la necessaria preparazione per immersioni a -40 mt.

Si può gettare l'ancora direttamente sul fondale di posidonie a circa 30 metri, per scendere in acqua seguendo il limite tra il fondale sabbioso della cala e la parete di posidonie. Tenendo l'area sabbiosa alla nostra destra, sull'altro lato vedremo un ciglio: seguendolo, troveremo i rottami della prima auto, in bilico sulla scarpata a 33 metri di profondità; poco più avanti, a -36 metri, troveremo la seconda. Sporgendosi al disotto di essa, ci apparirà una fila di automobili disposte su un fondo di sabbia bianca a -45 metri, il cosiddetto "parcheggio".
Dato che il fondale è leggermente inclinato verso il largo, suggeriamo di tener sempre d'occhio la propria strumentazione, perchè, passando da una vettura all'altra, ci si potrebbe trovare a raggiungere una quota troppo profonda rispetto alle previsioni. Volendo, si potrà proseguire ancora per un tratto, fino ad avvistare l'enorme prua del relitto, squarciata dalla collisione con gli scogli.

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