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Ago

1

2007

Caccia in mare allo yacht killer

Ha ucciso un sub ed è fuggito: una foto lo incastra

C’è un’immagine sfocata, ma molto leggibile, dello yacht-killer che – nel pomeriggio del 13 luglio 2006 – ha straziato e ucciso un giovane medico torinese. Stava riemergendo da un’immersione nelle acque dell’isola di Vulcano, segnalato dalla boa con la bandierina rossa. L’hanno scattata, per caso, due turisti che, a bordo di una canoa, stavano riprendendo il panorama; in un angolo del fotogramma, piccola, compariva la sagoma di scafo bianco con strisce blu sulle fiancate. Con molta probabilità, è la barca assassina. Un insperato colpo di scena, che potrebbe ora imprimere una svolta all’inchiesta della procura di Barcellona Pozzo di Gotto.

La storia. Sono le 16,30 del 13 luglio 2006. Tempo splendido, visibilità perfetta. Lo Yacht bianco, lunghezza fuori tutto 15 metri o più, dalle linee moderne, avanza a velocità regolare sul mare dell’isola di Vulcano, località Vulcanello, davanti alla spiaggia “Baia Fenicia”. A 80 metri di distanza, sulla terrazza di un residence, l’ingegnere Sergio C., assieme alla moglie, sta osservando il panorama. Compare il grande motoscafo, di nome forse Nabila, Nabilia, Marbella o qualcosa di simile. “Erano appena iniziate le vacanze – racconta – e stavo osservando l’ambiente marino, quando compare all’orizzonte quello scafo”. L’ingegnere sente il rombo dei motori che, all’improvviso, si avvitano in una brusca e marcata decellerazione; incuriosito, osserva la scena concitata e misteriosa che segue. Un pugno di secondi. Tre persone, tre uomini, si precipitano in poppa e si sporgono per vedere cosa è successo. Passano uno, due minuti: “Non di più”. Poi il frastuono sordo dei turbodiesel torna di nuovo ad assordare la baia, ancora più intenso. Il ribollire delle onde, i gorghi provocati da una manovra convulsa. In apparenza incomprensibile. Lo yacht, così, riparte a tutta velocità, verso il porto di Filicudi, lasciandosi alle spalle una scia insanguinata.

Sergio C. ha capito che è successo qualcosa di grave, corre in casa e afferra il suo binocolo. Controlla con attenzione, lentamente, quel tratto di mare. E capisce tutto: intravede un corpo, di schiena, avvolto dalla tuta, la boa bianca e rossa che segnala l’immersione di un sub. Semiaffondata, quasi spezzata. Scatta l’allarme. Un gommone della Capitaneria di Porto di Lipari si dirige verso Vulcanello. Dopo una mezz’ora di ricerche, guidate dal testimone, la salma del medico anestesista Mauro Falletta, 34 anni, sposato con Valeria, ginecologa ad Asti, e padre di una bimba che oggi ha quattro anni, viene recuperata e portata nel porto di Lipari, per l’autopsia.

E’ passato un anno, da quel giorno maledetto ma, della barca killer, ancora nessuna traccia. I familiari di Mauro Falletta, che dalle Molinette si era trasferito nell’ospedale di Asti, vogliono giustizia. Vogliono che le “indagini non siano trascurate, perché all’inizio sembrava ci fossero indizi precisi, invece gli inquirenti non sono ancora riusciti a trovare nulla di decisivo”. Il grande yacht bianco sembra svanito nel nulla. La coppia di turisti che stava incrociando nella baia a bordo della piccola canoa, stava scattando delle foto-ricordo con una digitale. In un angolo si intravede la sagoma di uno yacht. Bianco, appunto, e con le fiancate blu. Il ponte alto. Data, ora, braccio di mare, coincidono al millimetro con il teatro della tragedia descritto da Sergio C., il supertestimone che è stato già più volte interrogato. Nella perizia di Daniela Trio e Filippo Santovito, disposta dai pm di Barcellona Pozzo di Gotto, quel segmento di foto è stato ripreso e rielaborato con tecniche diverse. Sono ricomparse immagini abbastanza chiare, che disegnano linee e caratteristiche forse riconoscibili dagli occhi, per esempio, di un vero esperto di nautica. E’ quello che si augura la famiglia dell’ucciso, che non ha più trovato pace dopo l’assurda morte del medico. I tecnici hanno così ricostruito le linee del quadrato di poppa e di parte della prua con una notevole precisione. Leggibili anche i profili del ponte di comando e delle strutture della parte anteriore dello scafo.

Ci sono alcuni punti interrogativi rimasti in sospeso. Un’ora dopo la segnalazione, un aereo Piaggio, sigla “Orca 805”, che era già in volo di perlustrazione, era stato dirottato su Vulcano ma le ricerche, che si conclusero attorno alle 22,30, non diedero alcun esito. E anche una motovedetta della Capitaneria ritornò alla base con un nulla di fatto. “Gli inquirenti furono estremamente disponibili. Ci fu la massima assistenza possibile, in quei momenti tragici, quando ci fu il riconoscimento della salma e tutto il resto. E credo che si siano impegnati davvero a fondo. No, non sapremmo nemmeno dove individuare un errore. Nel Natale scorso siamo stati informati che l’inchiesta non aveva dato risultati concreti. E questo ci ha un po’ avvilito”, spiega lo zio della vittima, Luigi Golzo, di Torino. Ma c’è ancora da lavorare. I carabinieri dei Ris di Roma stanno ancora esaminando le cellule telefoniche della zona. Vogliono ricostruire il traffico di quei minuti cruciali del 13 luglio 2006. Obiettivo, risalire ai titolari delle Sim. Non sarà facile. “Ma non sarà tralasciato nulla”, promettono gli inquirenti. Che hanno iniziato un faticoso censimento, su tutti i registri navali italiani, delle imbarcazioni con caratteristiche e nomi simili alla barca assassina. Nessuno si nasconde le difficoltà. I testimoni non sono riusciti a vedere neppure la bandiera del grande motoscafo fantasma. 

Fonte: La Stampa

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