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Lug

16

2006

Il pesce grosso non va più in rete

Che fine hanno fatto i pesci di grande taglia? Dalle immersioni dei sub di Greenpeace nelle acque italiane, realizzate nel corso del tour della Rainbow Warrior nel Mediterraneo, emerge l’assenza o quasi nei fondali monitorati degli esemplari più grossi di alcune importanti specie ittiche: cernia, dentice, sarago e corvina. Unica eccezione positiva il mare di Portofino, dove l’area protetta sembra funzionare bene. La scarsa presenza di grandi pesci, soprattutto predatori, è il dato più significativo di questa ricerca e rappresenta un indicatore sensibile del sovrasfruttamento della popolazione ittica in gran parte della fascia costiera. La taglia dei pesci che finiscono sui banchi del mercato, d’altra parte, è in continua diminuzione da tempo. Altro interessante risultato delle immersioni, inoltre, è il fatto che non si sia trovata traccia di aragoste.

Il monitoraggio di Greenpeace – preliminare e da sviluppare nel prossimo futuro – è stato effettuato presso le aree protette di Portofino, Capraia e Montecristo e presso le seguenti aree non protette: Scoglio della Botte (Arcipelago Pontino), Capo Palinuro (Cilento), Santa Tecla (Catania), Capo di S. Maria di Leuca (Lecce). I parametri rilevati nel corso delle immersioni, durante le quali è stata raccolta anche una documentazione foto e video, sono lo stato del fondale (mucillagini, rifiuti, attrezzi da pesca abbandonati, torbidità), popolamenti ittici (dimensioni massime di cernia, corvina, dentice e sarago) e bentonici (posidonia, gorgonie, presenza di Caulerpa racemosa – un’alga verde tropicale introdotta – e di Pinna nobilis, il più grande mollusco bivalve del Mediterraneo).

Delle 7 località prese in esame l’area protetta di Portofino è risultata quella con il mare in miglior stato, mentre è sorprendente che a Montecristo, protetta fin dal 1971, non sono stati osservati pesci di grandi dimensioni. Simile il discorso per Capraia, dove sono state osservate tracce di rifiuti e attrezzi da pesca abbandonati, l’assenza di Pinna nobilis (nonostante una florida prateria di posidonia) e la presenza dell’alga tropicale Caulerpa racemosa. La C. Racemosa è una parente meno nota ma ben più diffusa della C. taxifolia (famosa come ‘alga assassina’): è stata riscontrata praticamente lungo tutta la penisola, ma non è chiaro se e quanto essa generi un qualche tipo di impatto.

Tra i siti non protetti, permane la scarsa presenza di pesci di grossa taglia. Capo Palinuro, con una bella popolazione di corallo rosso e una buona prateria di posidonia, è sembrato quello in condizioni migliori (nonostante sia penalizzato da tracce di mucillagine, attrezzi da pesca e da assenza di Pinna nobilis). Anche Capo di S. Maria di Leuca si è dimostrato interessante, sebbene con acque torbide della cui origine sarebbe utile accertarsi per escludere eventuali impatti causati dalle opere di urbanizzazione lungo la costa. Di più ci si poteva forse attendere dallo Scoglio della Botte – un picco isolato tra Ponza e Ventotene, in cui era peraltro evidente una notevole attività di pesca, testimoniata da attrezzi abbandonati e dove sono state trovate mucillagini (forse un fenomeno passeggero) – e da Santa Tecla, dove pure è stata riscontrata una torbidità eccessiva.

‘è solo una fotografia di quanto abbiamo osservato e sarebbero necessarie ulteriori ricerche’ afferma Alessandro Giannì, responsabile della Campagna Mare di Greenpeace Italia. ‘Quel che è certo è che le aree marine protette servirebbero non solo lungo la costa, ma anche in mare aperto. Abbiamo lanciato una proposta per una rete di riserve che copra il 40 per cento del Mediterraneo’. Ma luci e ombre emergono anche dal bilancio del tour italiano della Rainbow Warrior, la nave ammiraglia di Greenpeace, che sarà pubblicato domani. La nave ha lasciato le nostre coste per monitorare ora quelle greche e turche, alla ricerca di balene e delfini e delle pratiche di pesca illegale. Impressionante il bilancio della caccia alle ‘spadare’, le reti derivanti bandite dall’Ue e dall’Onu che continuano a essere impunemente utilizzate. Delfini, tartarughe e capodogli vi muoiono impigliate. Un fortunato esemplare di tartaruga Caretta caretta è stato liberato da Greenpeace tra Ischia e Ponza. ‘Dei cinque pescherecci che abbiamo intercettato, due continuavano a pescare illegalmente nonostante avessero ricevuto decine di migliaia di euro dallo stato e dall’Ue per la riconversione’. La Rainbow Warrior ha filmato anche la pratica di cattura dei tonni con aerei da ricognizione e navi per poi allevarli per il mercato giapponese del sushi, da sempre alla ricerca del prezioso tonno rosso del Mediterraneo, ora sull’orlo del collasso.

fonte: Greenpeace Italia

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