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Giu

15

2017

Immersioni: c’è il medico sott’acqua, consigli per non rischiare

In apnea o con le bombole, sono sempre più numerosi gli italiani che si immergono. Una nuova medicina specialistica spiega quali rischi si corrono e come evitare guai

ESTATE, tempo di immersioni. Che sia apnea, pesca sportiva, esplorazione dei fondali o escursioni tecniche a elevata profondità, scendere sott’acqua piace sempre più. Sebbene non ci siano dati precisi, dal momento che non esiste un’anagrafe dei subacquei, si stima che nell’ultimo decennio il numero di persone che nel nostro paese compie immersioni tecniche o professionali con assiduità sia aumentato, passando da mille a circa ventimila l’anno.

E sarebbero molti di più, un milione circa, gli italiani che insieme a pinne, fucile e occhiali mettono nel borsone anche muta e bombole per le cosiddette immersioni “ricreative”. I cui rischi per la salute, però, sono dietro l’angolo. O sotto lo scoglio, per usare una metafora più appropriata.

È per questo che in Italia la classe medica sta cercando di non farsi trovare impreparata: “Al momento, la medicina subacquea – spiega Cesare Beghi, docente di Cardiochirurgia all’università dell’Insubria – non è ancora inclusa nel novero delle specializzazioni mediche ufficiali, anche se le problematiche cliniche connesse alle attività di immersione lo renderebbero auspicabile”.

Proprio per far fronte alla crescente richiesta di specialisti del settore, l’università dell’Insubria ha appena inaugurato, con la collaborazione della Marina Militare, un master universitario unico nel suo genere, completamente dedicato alla medicina subacquea e iperbarica.

“È assolutamente fondamentale – dice ancora Beghi, che del master è fondatore e condirettore – che i medici abbiano le competenze e gli strumenti necessari per gestire tutte le possibili emergenze, dal trattamento d’urgenza di un subacqueo appena emerso alla terapia in camera iperbarica. Il corso, cui partecipano clinici provenienti da tutta Italia, per lo più anestesisti rianimatori, cardiologi, medici del lavoro e medici militari, fornisce le conoscenze per la valutazione di subacquei ricreativi e professionali, per la gestione delle prime emergenze e per l’impostazione della terapia iperbarica”.

Know How salute – C’è un medico sott’acqua, istruzioni per immergersi in sicurezza

Gli scenari cui un medico deve essere preparato sono molteplici. “Il corpo umano – racconta Giovanni Ruffino, direttore del Servizio sanitario del comando subacquei e incursori (Comsubin) della Marina Militare e condirettore del master – non si è evoluto per vivere sott’acqua. La profondità ha diversi effetti sull’organismo: quando il capo è immerso, vengono stimolati recettori che fanno rallentare i battiti cardiaci, provocano vasocostrizione e favoriscono lo spostamento del sangue verso i polmoni, per contrastare la pressione dell’acqua”.

Per questi motivi, l’attività subacquea non può essere affrontata con leggerezza: si tratta, a tutti gli effetti, di una pratica agonistica che richiede prudenza, attenzione e ascolto dei segnali del proprio corpo: “Non si dovrebbe parlare di attività subacquea ricreativa – continua Ruffino – dal momento che ogni immersione, anche a basse profondità, va attentamente pianificata. Le regole da seguire sono relativamente poche, e per lo più di buon senso: sottoporsi a visita specialistica per accertarsi di essere idonei; mai scendere in profondità da soli; controllare periodicamente l’attrezzatura; monitorare le condizioni metereologiche e marine”.

Seguendo questi accorgimenti, assicurano gli esperti, il rischio di incidenti è molto basso, e comunque inferiore a quello di altre attività sportive: “La subacquea – spiega Alessandro Marroni, fondatore e presidente del Diving Alert Network, una fondazione medico-scientifica internazionale che si occupa di assistenza d’emergenza a chi si immerge e svolge attività di ricerca ed educazione nel campo della medicina subacquea – non è un’attività ad alto rischio intrinseco. Il rischio relativo di incidenti, stando ai nostri dati, si attesta intorno allo 0,06%”.

Ed è destinato a diminuire: “La ricerca – continua Marroni – sta facendo passi da gigante nel raffinamento delle tecniche di immersione e nello studio della suscettibilità individuale, nel solco della cosiddetta medicina subacquea personalizzata. La sfida è comprendere come fattori ormonali, genetici e bioematici concorrano a determinare la risposta individuale alle immersioni, con lo scopo di tracciare un profilo personale che suggerisca quando, come e dove è più opportuno immergersi”.

Un altro dei fronti di ricerca riguarda gli effetti della permanenza a lungo termine in ambiente sottomarino: se ne è occupata, tra gli altri, l’équipe di Luca Revelli, ricercatore e chirurgo dell’università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, che nell’ambito del ‘Progetto Abissi’ ha monitorato 24 ore su 24 un gruppo di sei subacquei che hanno vissuto per 14 giorni sul fondale di Cala Feola, a Ponza.

“Lo studio ha svelato effetti sorprendenti e inattesi – spiega Revelli – abbiamo notato, per esempio, l’appianamento di rughe e cicatrici dovuto alla pressione e all’idratazione, un effetto che però è scomparso un mese dopo l’emersione. E, cosa ancora più interessante, una diminuzione temporanea dei livelli di eritropoietina, la sostanza che stimola la produzione di emoglobina nel sangue, seguita da un rapidissimo aumento dopo la risalita. Un fenomeno che potrebbe essere interessante approfondire per comprendere meglio i problemi legati all’anemia”.
immersione

Fonte: Articolo di Sandro Iannaccione, la Repubblica.it

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