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Feb

8

2008

Una bomba ecologica sull’Adriatico

Nave turca brucia al largo della Croazia. Il carburante potrebbe riversarsi in mare

Dopo la Gran Bretagna, dopo il Portogallo, dalla scorsa notte anche l’Italia affronta in un clima di angoscia e speranza i rischi di un disastro ambientale sulle sue coste. Brucia, al largo di Rovigno (13 miglia marine a Ovest dalla Croazia), uno dei grandi traghetti turchi della tratta Triste-Istanbul, la cosiddetta “autostrada del mare”, la più importante del Mediterraneo.

Nessuno sa dire con precisione che cosa sia successo a bordo. Si sa soltanto che l’incidendio è partito nella stiva di carico. Le fiamme si sono propagate al resto della nave senza che i marinai riuscissero a circoscriverle. All’alba, il comandante ha lanciato l’sos. A raccoglierlo è stato il traghetto greco “Icarus Palace” che, insieme ad altre due motonavi, si trovava nella zona. Nell’alto Adriatico è scattato l’allarme rosso, e ora in tutta Europa è una disperata corsa contro il tempo per eviatare il disastro. Società specializzate in questo genere di intervento sono in arrivo da Olanda e Gran Bretagna.

I numeri diffusi ieri dalla Protezione civile sono da brivido: nei serbatoi della nave ci sono circa 850 tonnellate di idrocarburi (800 di “fuel oil” per alimentare i motori e 50 di diesel marino) e nessuno si è sentito finora di escludere il rischio di una disastrosa esplosione. Altra ipotesi apocalittica: lo sbandamento del gigantesco scafo (è lungo 193 metri) con il conseguente, inevitabile affondamento. E ancora: è possibile lo sversamento di idrocarburi in mare. Dalla Romagna seguono le operazioni con il cuore in gola.

Come se non bastasse, nella stiva ci sono 202 Tir e uno dei loro potrebbe facilmente esplodere per le altissime temperature che sta raggiungendo la nave. Per tutta la giornata di ieri, i rimorchiatori della Capitaneria di Fiume e quelli dei Vigili del fuoco hanno scaricato montagne di acqua sullo scafo per raffreddarlo e abbassare i rischi di esplosioni. Un Canadair ha fatto decine di lanci di schiuma e sostanze per spegnere l’incendio ma le fiamme non si sono fermate. Ieri notte sul posto sono arrivati anche i ecnici inviati dalla società armatrice – la turca “Un RO-RO Istanbul” – e quelli della compagnia assicuratrice dello scafo, partiti nel pomeriggio dall’Olanda. La società olandese interpellata è la “Smith”, la stessa che nel 2000 entrò in azione per tentare di salvare il “Kursk”, il sommergibile nucleare russo a bordo del quale morirono 118 uomini dell’equipaggio.

“La nave turca non sta affondando e non ci sono crepe o danni visibili, ma il pericolo è alto”. Così si sono espressi ieri sia il ministro degli interni croato, Berislav Roncevic, sia i tecnici dell’Istituto nazionale italiano di geofisica e vulcanologia (Ingv). Gli esperti hanno già fatto le loro simulazioni. Risultato: in caso di disastro, gli idrocarburi potrebbero arrivare nell’arco di sei giorni sulle coste italiane, nella zona di Ravenna.

A bordo del traghetto si trovavano 31 persone: 22 uomini dell’equipaggio e i nove passeggeri (tutti autisti turchi). Costretti ad abbandonare l’imbarcazione, ieri hanno raggiunto Venezia a bordo della motonave greca che aveva raccolto il messaggio di sos: quattro di loro sono stati portati in ospedale per ustioni di primo e secondo grado, ferite e il sospetto di fratture a vertebre e arti. E proprio il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, ha ringraziato tutte le strutture portuali e di soccorso esprimendo ai marittimi e alle loro famiglie l’augurio di un pronto rientro in patria.

GLI ESPERTI
“A rischio le coste di Ravenna”
“Un eventale sversamento potrebbe indirizzarsi verso l’Italia e in circa sei giorni arrivare al largo di Ravenna”. La previsione è della coordinatrice del Gruppo Nazionale di Oceanografia Operativa dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Nadia Pinardi. Gli scienziati italiani hanno allertato la Guardia Costiera del medio-alto Adriatico, “attrezzata con particolari navi dotate di panne galleggianti che possono bloccare la traiettoria della macchia, e difendere la costa”.

La Stampa

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