Salpato nel marzo 1991 dal porto bulgaro di Bargos, nel Mar Nero, il mercantile greco Evdokia II, battente bandiera delle Antille, era diretto al porto di Venezia trasportando 3.000 tonnellate di lamiere di ferro. Ma a Venezia non ci arrivò mai: un destino nefasto l’attendeva il 7 marzo. Quel giorno, una fitta nebbia avvolgeva ogni cosa, e le navi in transito dovevano affidarsi al radar e alla navigazione strumentale. Giunta ormai quasi a destinazione, l’Evdokia II si trovava a circa 6 miglia al largo di Chioggia quando all’improvviso un violento colpo squassò la nave con un rumore terrificante: un vecchio cargo dell’Honduras, il Philippos, probabilmente confidando troppo nella moderna tecnologia, si era trovato in rotta di collisione con l’Evdokia II e l’aveva violentemente speronata.
L’impatto provocò un grosso squarcio nella murata sinistra dell’Evdokia II, che affondò nel giro di pochi minuti. I nove membri dell’equipaggio furono costretti a lanciarsi velocemente nelle fredde acque e furono fortunatamente tratti in salvo proprio dalla stessa nave che aveva provocato il disastro. L’Evdokia II si inabissò velocemente, adagiandosi in assetto di navigazione su un fondale di 24 metri, e sprofondando nella sabbia per ben 5 metri a causa del pesante carico.
Tutto il carburante presente nei serbatoi venne aspirato, scongiurando così un disastro ambientale che avrebbe colpito le spiagge turistiche della zona. Due anni dopo l’affondamento, nel 1993, vennero anche recuperati i rotoli di lamiera che costituivano il carico del mercantile, svuotando totalmente le stive.
Le strutture più alte del mercantile, dato il fondale relativamente basso, arrivavano quasi alla superficie costituendo un pericolo non indifferente per la navigazione in quelle acque trafficate. Nel 1994 si decise perciò di smantellare le sovrastrutture, e l’intero castello di poppa venne rimosso e spostato ad una cinquantina di metri dal resto della nave, il cui punto meno profondo si trova ora a -15 metri.
L’immersione
Sul relitto dell’Evdokia II si possono effettuare diverse immersioni, a vari gradi di difficoltà, tenendo presente che tutte le immersioni in Alto Adriatico sono caratterizzate da una scarsa visibilità, che può variare da pochi centimetri fino, nei casi estremamente fortunati, a non più di una decina di metri.
Le immersioni più semplici, adatte anche a subacquei non troppo esperti (comunque accompagnati da una guida o da un istruttore), prevedono la circumnavigazione del relitto e la visita alle stive aperte.
Non va comunque dimenticato che un immersione su relitto presenta in ogni caso un certo grado di difficoltà, per cui è assolutamente necessario avere l’addestramento adatto e la giusta esperienza. Ne è la prova la statua di una madonnina, che è stata posizionata sulla parte alta delle strutture a poppa, a ricordo di una immersione notturna conclusa tragicamente.
Viste le dimensioni della nave (quasi 80 metri di lunghezza) generalmente una sola visita non è sufficiente per apprezzare pienamente il relitto, e ci vogliono almeno due immersioni per capire bene come è fatto ed ammirare la vita marina che l’ha scelto come “residenza”.
I subacquei più esperti con l’abilitazione necessaria potranno inoltre, oltre a visitare l’elica che poggia sul fondo a circa 28 metri, addentrarsi nei corridoi del ponte dell’equipaggio che sono relativamente sgombri, e in alcuni locali interni, con le dovute cautele non solo per la scarsa visibilità dell’acqua e per la presenza di un fine limo sul fondo, ma anche perchè nel tempo numerosi cavi elettrici si sono sfaldati e staccati dal soffitto, fino a formare delle vere e proprie ragnatele.
In plancia hanno ceduto e sono crollate alcune strutture, che hanno reso inaccessibili alcune entrate all’interno della nave stessa. E’ molto pericoloso proseguire verso la sala macchine, perchè il passaggio forma due curve a gomito che non fanno penetrare la luce esterna, ed inoltre lo spesso strato di sedimento sul fondo potrebbe sollevarsi ad una minima pinneggiata sbagliata, rendendo assolutamente nulla la visibilità e molto difficoltoso ritrovare la via d’uscita. Chi volesse ugualmente raggiungere a proprio rischio la sala macchine, potrà piuttosto utilizzare un passaggio formatosi in seguito all’asportazione di una struttura posta sulla parte superiore del relitto, che scende verticalmente sulla sala macchine rendendo più semplice l’orientamento. Il relitto dell’Evdokia II, salvo lo squarcio provocato dall’impatto, che si sta allargando sempre di più a causa degli assestamenti del fondale, e la mancanza delle strutture poppiere rimosse, è completamente integro e si presenta in assetto di navigazione.
Tutto lo scafo è completamente ricoperto da Epizoanthus arenaceus, un esacorallo coloniale di colore grigio con lunghi tentacoli bianchi, e da altri invertebrati quali cozze, ostriche, anemoni di vari colori, spugne arancioni e spirografi (Sabella spallanzani), che hanno rivestito ogni centimetro libero dello scafo, lasciando intravvedere praticamente nulla del colore azzurro originario della nave. Attorno, attirati dalla presenza di cibo e sfruttando il relitto stesso come riparo dalle reti a strascico e dalle turbosoffianti che devastano i fondali dell’Alto Adriatico, nuotano numerosi pesci di varie specie: le immancabili castagnole (Chromis chromis) che ci accolgono già non appena ci avviciniamo al relitto, grossi banchi di merluzzetti che a volte circondano interamente il relitto, e poi ancora boghe, sardine, occhiate, saraghi, mentre a volte è possibile l’incontro con qualche pesce San Pietro che ci controlla sospettoso mantenendosi alla debita distanza.
Negli anfratti della nave ed attorno alla stessa trovano riparo altri pesci tipici dell’ambiente roccioso mediterraneo: sciarrani, tordi, bavose, ghiozzi, e scorfani di ogni dimensione, estremamente abili a mimetizzarsi tra le strutture concrezionate; e poi ancora polpi e seppie, nudibranchi, paguri, granchi ed altri piccoli crostacei.
A volte alcune corvine (Sciaena umbra) stazionano presso lo squarcio della collisione nascondendosi tra le lamiere contorte, ma la loro presenza è ormai rara a causa del gran numero di subacquei che giornalmente si immergono.
Sul fango intorno al relitto, dove il fondo da 23 metri sprofonda di altri 5 metri a causa del peso della nave, tra i gusci dei bivalvi morti si trovano colonie di stelle serpentine, ofiure della specie Ophiothrix fragilis, che in alcuni punti si ammassano fino a formare veri e propri tappeti, oltre a grossi cerianti (Cerianthus membraceus), a tane di astici e di gronghi (Conger conger) a volte anche di dimensioni ragguardevoli.