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Ago

2

2017

Le immersioni: meraviglioso pericolo

immersioni

Servono controlli al cuore, una alimentazione corretta e prove attitudinali. Perché andare in fondo al mare non è un gioco, come dimostrano le morti per embolia da decompressione

È come se volassimo: in tutte le direzioni, spostandoci, risalendo e scendendo in un mondo dove cambiano continuamente colori per la flora e la fauna che ci circonda e che mai potremmo vedere in superficie: quello subacqueo. Fatto di meraviglie ma anche e soprattutto di pericoli molti dei quali mortali: per questo è un mondo «dove non si improvvisa, dove nulla deve essere lasciato al caso, dove la preparazione è fondamentale. Non ci si può immergere, anche in pochi metri d’acqua, dall’oggi al domani, specie se da soli, andando all’avventura» dice a Il Giornale il dott. Luca Revelli, medico chirurgo dell’Università Cattolica di Roma e Direttore scientifico del Progetto Abissi. «Se le bombole permettono di respirare in profondità facendoci vivere un’esperienza incredibile, è tuttavia fondamentale rispettare delle regole. Ne va della nostra vita».

L’impatto della subacquea in Italia è quello di una enorme industria turistica che si sviluppa su 8.000 chilometri di coste con 140 isole: nel nostro Paese sono possibili tantissime tipologie di immersione (su pareti cigliate, secche, su relitti navali ed aerei, sui siti archeologici marini ed ovviamente le immersioni marine e lacustri libere). Le temperature del Mediterraneo permettono immersioni durante tutto l’anno, cambiando ovviamente attrezzatura: in Italia si contano oltre 500.000 i subacquei con brevetto che si immergono con diverse tecniche e differenti attrezzature e preparazioni. «Alla base di tutto c’è una preparazione che deve essere continuamente rinnovata, un brevetto conseguito da strutture accreditate ed abilitate. Chi va alle Maldive o nei mari esotici, si porta a casa un diploma o un attestato non può pensare di fare attività subacquea – prosegue Luca Revelli – perché i requisiti sono fondamentali: visita cardiologica e cardiorespiratoria anzitutto, che va rigorosamente ed annualmente rinnovata, preparazione graduale alle diverse quote di immersione, una corretta alimentazione, prove attitudinali nei diversi assetti. Tutto questo nei centri abilitati con istruttori professionisti».

Chi va sott’acqua per immersioni con ARA (autorespiratori -bombole- ad aria compressa) non deve avere una grande preparazione atletica, solo il rispetto di norme fondamentali dopo un corso. Diverso è chi «si immerge con bombole contenenti Nitrox, autorespiratori ad ossigeno (ARO), Trimix o altre miscele di gas fino al nuovo avveniristico rebreather, una macchina che permette di scendere negli abissi oltre i 100 metri. Ma stiamo parlando di immersioni assolutamente professionali che ci si arriva dopo corsi e brevetti molto particolari».

Il Progetto Abissi per questo è composto da équipe di medici, psicologi, ingegneri e fisici: per la sicurezza praticamente assoluta delle immersioni. Ma allora perché ogni anno le cronache registrano incidenti dove le vittime sono sub? «I rischi sono legati anzitutto a fattori ambientali poco o per nulla conosciuti dai sub che pensano di andare all’avventura in posti nuovi -dice Revelli- ma anche fattori legati al freddo, scarsa visibilità, correnti e grotte. Altra causa è l’inadeguatezza delle attrezzature (erogatori, bombole, mancanza di strumentistica). Tuttavia la principale causa di incidenti soprattutto mortali è legata ad errori umani: imperizia ed imprudenza».

L’incidente caratteristico dell’attività subacquea resta l’embolia da decompressione. E’ un problema legato alla miscela di gas: scendendo in immersione l’azoto presente nelle bombole si discioglie nei vari tessuti. In risalita, alla diminuzione progressiva della pressione, questo gas si dissolve lentamente; per questo bisogna assolutamente rispettare le cosiddette quote di decompressione altrimenti il sub viene colpito da embolia. Per fortuna l’Italia è tra i Paesi all’avanguardia per numero e qualità dei Centri di medicina con presenza di camere iperbariche. «Sapere quanto tempo ci si può immergere, fino a quali profondità, rispettare i tempi di risalita, attrezzature giuste e affrontare senza entrare nel panico possibili incidenti di percorso non può essere frutto della improvvisazione o dopo brevetti vacanzieri presi in qualche giorno». Altro problema ben conosciuto dai sub oltre al rischio embolico è il timpano: «Anche solo a 4 o 5 metri di profondità bisogna compensare la pressione ambientale con manovre particolari che si imparano nei corsi; questo per non provocare sofferenze al timpano».

 

Fonte: articolo di Marco Palma, Il Giornale

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