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Ott

31

2013

Ansia e panico durante le immersioni subacquee: conseguenze e prevenzione

Immersioni: uno studio del 1995 Anxiety and panic in recreational scuba divers ha dimostrato che oltre la metà dei sub ha sperimentato almeno una volta l’attacco di panico.

Ansia e panico nelle immersioni . - Immagine: ©-Rostislav-Ageev-Fotolia.comIl subacqueo fino agli anni 70 era, nella maggior parte dei casi, una persona con spiccate caratteristiche di individualismo, tanto dal punto di vista psicologico quanto da quello sportivo.

La struttura di personalità era più simile a quella dell’alpinista, dello scalatore o del paracadutista nel senso di atleti che cercano di migliorare le proprie capacità, di riuscire a superare i propri limiti e che cercano la solitudine, quasi la condizione ascetica.

Le rivoluzionarie innovazioni tecnologiche hanno profondamente modificato l’immersione subacquea consentendo praticamente a tutte le persone – compresi i portatori di handicap – di poter effettuare delle piacevoli immersioni ricreative.

L’immersione può essere vista come una risposta alle esigenze dell’inconscio tanto individuale che collettivo di recuperare quel rapporto primordiale presente sia nel ritorno alla condizione intrauterina, dove la vita si svolge nell’acqua, sia nelle profondità del mare dove vivono i pesci, nostri lontanissimi antenati. Il momento più significativo dell’attività subacquea corrisponde, però, al momento in cui viene attraversata quella linea che segna il confine tra l’aria atmosferica e l’acqua, che vuol dire di fatto varcare una linea reale, unica, diversa da qualsiasi altro confine di tipo metaforico tra dimensione reale e virtuale o tra somatico e psichico. Confine che segna la separazione tra due mondi: quello terrestre e quello sottomarino.

Uno degli aspetti più affascinanti della subacquea è l’isolamento: il subacqueo è tagliato completamente fuori dal mondo esterno, la comunicazione sott’acqua è molto limitata e parallelamente si incrementa la consapevolezza del subacqueo che il proprio benessere fisico è completamente nelle sue mani.

Negli anni anche la personalità di chi si approccia a questa pratica sportiva è cambiata: se prima erano personalità tese all’isolamento, oggi ci si approccia a tale attività per cercare un’attività ludica nella quale ricrearsi, incontrare nuova gente e sentirsi parte di un gruppo (Capodieci, 2006).

Negli ultimi anni la maggiore richiesta di corsi e di immersioni ha provocato un’immediata risposta di interesse economico, rilasciando brevetti con estrema facilità.

Bisogna però ricordare che si tratta di un’attività sportiva che ci mette a confronto con un ambiente a noi non naturale, al quale il corpo deve comunque adattarsi, ad un’attrezzatura che bisogna saper armeggiare, al mare, che è un elemento imprevedibile con il quale bisogna approcciarsi nella maniera più prudente e rispettosa possibile, affinché non si tramuti in una brutta esperienza.

A questo proposito sarebbe meglio adottare misure preventive per evitare spiacevoli incidenti nelle immersioni.

Uno studio del 1995 (Anxiety and panic in recreational scuba divers) ha dimostrato che oltre la metà dei sub ha sperimentato almeno una volta l’attacco di panico.

Statistiche del DAN e dell’Università del Rhode Island sostengono che il panico è stato responsabile del 20-30% degli incidenti mortali in immersione ed è tra le prime cause di morte nelle attività subacquee.

 

In una situazione di panico, il sub riesce a concepire un solo obiettivo nella propria mente: raggiungere la superficie il più rapidamente possibile; in questo modo dimentica di respirare normalmente, con il risultato di una possibile embolia gassosa arteriosa. 
Secondo Zeidner le principali caratteristiche di questo tipo d’ansia sono:
A. L’individuo percepisce la propria situazione come minacciosa, difficile o impegnativa.
B. L’individuo considera la sua capacità di far fronte a questa situazione come insufficiente.
C. L’individuo si concentra sulle conseguenze negative che conseguiranno al suo fallimento (di risolvere i problemi), piuttosto che concentrarsi sul trovare delle possibili soluzioni alle sue difficoltà.
I sintomi fisici dell’ansia possono variare dalla sudorazione delle mani e la tachicardia delle forme medie fino all’agitazione psicomotoria, alla paralisi emotiva o allo scatenarsi di un attacco di panico o di una reazione fobica.
L’ansia ha una funzionalità ben precisa : è un allarme ad una minaccia, un allontanamento da una situazione non confortevole, ha un valore di sopravvivenza e la fuga ne è la risposta comportamentale più tipica.

Alcuni studi hanno evidenziato che un livello medio di ansia garantisce una prestazione ottimale in certe situazioni perché provoca a volte un aumento della motivazione a concentrarsi sulle proprie finalità.

Un eccessivo stato d’ansietà invece può condurre a quella dimensione cognitiva e percettiva ridotta, nella quale la concentrazione e l’attenzione del subacqueo si colloca verso altri timori facendogli perdere il controllo della situazione.

Come ritiene Cattel (si veda pubblicazione di Lingiardi, 2010) “la personalità è ciò che permette di predire quello che una persona farà in una data situazione“, e a questo proposito nel 1995 a Toulouse è stata svolta una ricerca per misurare l’ansia come tratto caratteriale della personalità dell’individuo, quella che diventa la sua capacità di risposta a una situazione di stress. Lo studio ha rivelato che la maggior parte degli incidenti subacquei avviene nelle persone che hanno riportato sulla Scala dell’Ansia di Cattel, i risultati più elevati.

Nell’ambiente subacqueo è molto difficile ricondurre la causa di un incidente all’ansia perché l’individuo avrà difficoltà ad ammetterlo e ad esplicitarlo.

Esistono diverse tecniche di visualizzazione e di rilassamento per gestire l’ansia nelle situazioni di stress.

Sarebbe quindi opportuno pensare di iniziare i corsi di immersione con queste tecniche, non solo per insegnare all’individuo come gestire l’ansia in situazioni di stress, ma anche per rendere esplicito, che momenti di paura, tensione, possono essere normali, accolti ed esplicitati.

Incentivando la prevenzione, il mare può restare un amico, nel quale ci si tuffa quando ci si sente pronti, quando ci si sente sereni, ed evitare che diventi un nemico solo perché noi stessi siamo non abbiamo ascoltato il nostro corpo, e siamo stati superbi.

Ci vogliono umiltà, e una grande consapevolezza, per dire: “mi tuffo la prossima volta, oggi non me la sento!”, e questo potrebbe almeno evitare la metà degli incidenti.

Fonte: State of Mind, articolo di Sara Di Michele

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